LE PRODUZIONI FVG

Individuare quali siano i prodotti e le produzioni di una terra di confine come il Friuli Venezia Giulia non è facile. Gli anni di una storia tormentata e diversa, hanno inciso sulla cultura alimentare delle popolazioni di questo lembo d’Italia, posto all’estremo nord-est la cui tragedia, ieri, e la cui fortuna oggi, sono rappresentati da un triplice tracciato confinario oggetto di continue e periodiche variazioni.

Dalle guerre ai trattati, dalle armi ai tratti di lapis su di una mappa: tutto ha lasciato un segno non solo sulla nostra aspra terra ma anche nell’anima, nella cultura, nella scienza e nella conoscenza che oggi sono il frutto di una sintesi storica.
Questo processo che per millenni le resilienti popolazioni della nostra Regione hanno dovuto e saputo attuare per necessità e virtù con l’aiuto di un buon senso e di una cultura rurale, è ciò che hanno poi lasciato in eredità alle generazioni successive in un ciclo infinito che si è ripetuto e poi concluso non molti anni fa.
Per capire come questo complesso percorso si sia sviluppato e sia oggi interpretato, ci sembra giusto citare due lavori diversi tra loro, ma la cui somma è utile a offrire uno spaccato reale dell’enogastronomia e delle produzioni primarie della nostra Regione: il Friuli Venezia Giulia.

Scriveva Adriano Del Fabbro nel 2009 nell’Introduzione del suo libro “Raccolta delle Ricette delle Terre Friulane” (ed. Del Baldo) cercando di seguire idealmente lo sviluppo geografico della terra Friulana limitata idealmente tra mare e monti ma ricca di una ruralità di collina e di pianura.

"Partendo dalla tradizione rurale, lavorando su una nutrita serie di prodotti tipici, i friulani hanno costruito una proposta gastronomica di alto livello.
Dietro alle lagune dell’alto adriatico, come un agrume maturo, il variegato territorio friulano si apre al gusto con molti spicchi. L’orizzontale pianura è solcata da un sistema venoso di fiumi che segnano, dividono, mescolano, tradizioni e sapori. Tra Livenza e Isonzo, mare e Alpi, dunque, è corretto parlare di cucina regionale e piatti del territorio. Specificatamente al plurale, anche se l’ispirazione antica ha caratteristiche comuni.

Da un lato, un tempo, una ristretta cerchia di nobili poteva permettersi una dieta varia, scelta e particolare (a volte con risvolti esotici), documentata dai ricettari familiari; dall’altra la gran parte delle persone viveva una difficile quotidianità rurale, strettamente aggrappata alle offerte stagionali. La cucina era semplice, immediata e varia, necessariamente figlia della variabilità geografica e orografica del territorio e delle culture che lo abitavano (friulana, veneta, slava e austriaca nelle sue propaggini isontine). Negli anni, si è però lentamente modificata e affinata nel gusto e negli ingredienti. I prodotti di eccellenza rimangono i vini, le grappe, il formaggio montasio e il prosciutto di San Daniele, a Denominazione d’origine protetta (Dop), accanto alle parecchie decine di “prodotti tradizionali” attualmente oggetto di un’attenta rivalutazione.

A Pordenone, la gastronomia tipica della bassa si appoggia su una cucina che offre piatti semplici, ispirati a ricette di origine friulana o “contaminati” dall’impatto con il vicino Veneto. Tra i primi troviamo le minestre di orzo e fagioli, di riso con patate o con piselli. Tra i secondi: frittate, pietanze a base di carni di animali da cortile e selvaggina, accompagnate dal formaggio asino di antica origine (le forme vengono passate, per parecchie settimane, in una salamoia di siero e panna) e polenta. Oltre al baccalà, il pesce esitato con più frequenza è la trota (il Friuli Venezia Giulia ne è il più importante produttore italiano). Durante l’inverno, viene confezionato uno degli insaccati di carne suina più particolari: la bondiola o saùc (macinato di cotechino, lingua e muscoli interni, impastati, marinati nel vino rosso, aromatizzati e inseriti nella vescica del maiale). Nelle valli montane, complice soprattutto il lungo isolamento geografico, si è mantenuta viva la tecnica di produzione di alcune gustose preparazioni alimentari: la pitina (una polpetta di carne macinata aromatizzata con erbe di montagna e affumicata) e la brusaule (strisce di carne secca, pepata).

Nell’Udinese, da tempi remoti, il re della tavola era il porco, allevato in ogni famiglia e le cui carni insaccate costituivano la scorta proteica principale per tutto l’anno. Non mancano i piatti dove si faceva uso di altri animali ruspanti: coniglio, gallina, pollo, tacchino, faraona, anatra e oca (volatile al centro di una vera e propria operazione di rinascita gastronomica). La carne, comunque, come molti dolci, rappresentava il lusso delle feste. Negli altri giorni si preparavano piatti a base di erbe spontanee, funghi, verdure, frutta, cereali (soprattutto zuppe e minestre), formaggi (con l’onnipresente Latteria e il famoso frico) e uova. La famiglia si riuniva attorno al tagliere su cui era rovesciata una fumante polenta dorata. Con le rape inacidite sotto la vinaccia si produceva e si produce la brovada che, cotta a lungo con il cotechino, permette di gustare un piatto un po’ ruvido forse, ma unico e particolare, a caccia del riconoscimento europeo di qualità. Pesci e anguilla (il bisato in speo è una vera e rara ghiotteria) comparivano con regolarità sulle tavole dell’entroterra lagunare. In Carnia, la massima prelibatezza è racchiusa nei cjalcions (specie di ravioloni di pasta ripiena), mentre le Valli del Natisone sono conosciute per la produzione della dolce gubana.

La cucina goriziana, infine, ha avuto per molti decenni uno sguardo rivolto a est. Grazie alle contaminazioni con quella dei popoli confinanti (austriaci, sloveni), diversi tra loro per lingua, usi, costumi e tradizioni, si è arricchita di sapori esclusivi. I traffici con Venezia e il suo mondo hanno influito sulla preparazione di minestre e risotti; sul grande uso della polenta e del pesce, re incontrastato della cucina gradese (da assaggiare, almeno una volta, il tipico boreto). I piatti forti sono costituiti dalla selvaggina (fagiano, lepre, capriolo e cinghiale) e dalle preparazioni a base di carne suina (antipasti, grigliate, bolliti e prosciutti cotti nel pane). Tra i primi piatti eccellono i blecs (pasta fatta in casa e tagliata a strisce), esaltati dai sughi d’arrosto e selvaggina; gli gnocchi di semolino e patate ripieni di susine e conditi con burro fuso e cannella; le minestre di verdure. Le frittate con le erbe sono ancora oggi il vanto della tradizione contadina. La “rosa di Gorizia”, il radicchio locale, si abbina semplicemente con le uova sode. Essenzialmente ispirati alla tipicità mitteleuropea sono invece i dolci: gli strudel di mele, ciliegie, pinoli e uvetta; le profumate crostate, le ottime palacinche e la notissima putizza (pasta ripiena e arrotolata).

Su tale robusto canovaccio, le genti friulane, hanno creato una gastronomia sopraffina, in grado di far apprezzare la tradizione di queste terre a ogni genere di moderno palato e sensibilità culinaria."
 

(Adriano Del Fabro, 2009)


Per quanto riguarda la cucina triestina, Trieste è una città di frontiera e come tale è stata una città di passaggio di merci, uomini e abitudini alimentari. Ed è per questo che anche la gastronomia triestina è caratterizzata da molti nomi dal suono straniero, di ascendenza tedesca o slava. Tuttavia questi nomi non indicano copie o importazioni di specialità culinarie estere, ma ricette originali che spesso, vengono rielaborate e consumate solo a Trieste. Essa è un connubio perfetto tra i sapori mediterranei e quelli mitteleuropei: i piatti di pesce presentano le caratteristiche della gastronomia della costa Adriatica (in particolar modo di Istria e Dalmazia) mentre quelli di carne ricordano i gusti dei Paesi in cui scorre il Danubio. Mady Fast nel libro “Mangiare triestino” la descrive come una fusione di varie componenti che riflettono la diversità delle genti che si sono avvicendate nella zona.

 
"Un mosaico variegato composto da svariate consuetudini costituisce lo sfondo gastronomico della nostra città diffidente nonostante l’apparente gaia spensieratezza, consapevole dei propri valori ma sempre troppo preoccupata per un futuro dagli incerti confini. Valori e difetti che si ritrovano nella sua gastronomia dove si incontrano la cucina della borghesia e quella rustica popolana e carsolina, la saggia cucina veneta, la barocca cucina austriaca, le stimolanti pietanze ungheresi, la consistente frugalità slovena, la sobrietà severa della cucina istriana, il sapore primitivo delle erbe dalmate, il tocco mediterraneo della cucina greca ispiratrice remota della raffinata cucina turca e la smagliante e consistente presenza delle pietanze dell’Italia meridionale. Da questo caleidoscopico insieme risulta una serie di piatti apparentemente molto diversi tra loro: alcune portate rimangono solo un ricordo, altre sono sopravvissute, altre ancora hanno cambiato genere e da pietanze povere sono rientrate nelle abitudini come piatto unico o come entrée perdendo il loro aspetto popolare ma fondendo il passato con il presente e mantenendo viva una tradizione da conservare con affettuosa devozione."
 

(Mady Fast, 2012)
 

Uno degli antipasti più caratteristici della cucina triestina è il prosciutto cotto caldo triestino tagliato rigorosamente a mano. 
Per quanto riguarda i primi piatti, la jota è una delle più celebri tipicità di Trieste: essa è una minestra a base di fagioli, crauti, patate e cotenna di maiale. Gli gnocchi di pane e quelli di patate sono un’altra prelibatezza locale, conditi con il gulasch. Il formato di pasta tipico, invece, sono i fusi istriani che possono essere serviti con sugo di pesce o di carne.
Il bollito di maiale, come secondo piatto, viene cucinato nella caldaia, ovvero un pentolone incastonato all’interno del bancone. Esso viene servito con senape, crauti o patate in tecia oppure all’interno dei panini.
Passando alla cucina di mare, alcuni dei piatti caratteristici di Trieste sono i gamberi alla busara e il baccalà mantecato.
Per quanto concerne i dolci, le tipicità sono lo strudel di mele, il Tiramisù e la Torta Rigojanci.
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