Per quanto ci riguarda, nel settore agricolo e alimentare, tanti sono stati i fatti del 2019 la cui somma ci permette di intravvedere un primo tratto del percorso che ci aspetta:
La nuova Commissione Europea che vuole estendere il “
Green deal merkeliano” a tutto il vecchio continente, in cui la
Bioeconomia circolare sarà, tra le altre cose, sempre più centrale, sia come opportunità sia come obbiettivo, per regioni rurali a bassa antropizzazione come la nostra.
In Italia abbiamo assistito al faticoso tentativo di imporre fiscalmente un inesorabile transizione del sistema industriale (in primis nel settore alimentare) verso una maggior sostenibilità ambientale ed etica. In particolare, la lotta per la riduzione dell'
uso della plastica, simbolo della Fossil economy, è brutalmente finita nel tritacarne politico. Nonostante ciò, l’obiettivo di ridurre la dipendenza dal fossile è probabilmente destinato a risolversi più avanti nel tempo, a causa dei prevedibili aumenti dei costi per l’approvvigionamento del greggio primario, conseguenti ai venti di crisi che soffiano in Medio Oriente e nel sud del Mediterraneo.
Va dato atto al nuovo Ministro all'agricoltura di aver iniziato un inedito dibattito che è bene non si insabbi nell'interesse di tutti: il problema del nostro sistema distributivo e della logistica (report di Federdistribuzione di fine anno sull’incidenza della GDO), la cui riorganizzazione dovrà necessariamente avvenire nei prossimi anni (come già è accaduto nel resto d’Europa). Una più equa
distribuzione del valore aggiunto lungo la catena produttiva alimentare, che consideri anche il primario e la trasformazione senza ridurre i margini della distribuzione ma rendendone sostenibili i costi, sarà sicuramente un passaggio chiave in prospettiva di una maggior competitività delle filiere produttive nazionali. Peraltro i movimenti delle principali insegne di settore stanno comunque portando naturalmente su una strada di aggregazione (casi Iper ed Auchan), di cui sentiremo comunque parlare.
Nel quadro mondiale vanno inoltre segnalati, non senza apprensione, i primi fenomeni di
carenza di commodities (in anticipo rispetto al previsto) che hanno riguardato e riguardano i
mercati delle proteine sia animali che vegetali (carni e proteaginose). Anche se i "battiti di ali di farfalla" come la peste suina cinese e i veggie-burger della “Beyond Meat” sono accaduti lontano da noi, le loro conseguenze ci toccano e ci devono far riflettere. Infatti, è ormai noto che la situazione venutasi a creare a livello internazionale ha intaccato anche il tradizionalissimo settore dei salumi sia a livello nazionale, che in Friuli e nella Venezia Giulia.
Le repentine
variazioni delle abitudini alimentari e, conseguentemente, di mercato, aggravate in alcuni casi da malcelati
fatti giudiziari negli ultimi anni, hanno fatto traballare primarie attività produttive del settore:
- Noi stessi abbiamo assistito nel 2019 il settore lattiero caseario FVG nello sforzo, per la prima volta condiviso tra tutti gli operatori, non solo di risalire la china, ma anche nel divenire più consapevole dei propri limiti, come il calo inesorabile degli allevamenti, ma anche delle proprie potenzialità, come la capacità dei propri prodotti di raccontare l’identità di un territorio.
- Nel settore vitivinicolo, accanto alle conferme di primato di alcune delle etichette storiche regionali, ha vissuto una sostanziale stabilizzazione dei volumi, casi giudiziari a parte. Questa maturità porta ora a cercare sbocchi su nuovi mercati che la variabile trumpiana porta ad immaginare ad est piuttosto che ad ovest.
- Per la cerealicoltura invece restiamo ancora in sospeso in assenza di una concreta strategia di uscita dalla monocultura mais. Questa risorsa infatti non è più indispensabile e nemmeno redditizia visto il progressivo contrarsi del settore zootecnico e la difficile sostenibilità ambientale dovuta alle variazioni climatiche. Qui si è assistito a diverse proposte alternative. Purtroppo tante si sono arenate di fronte all’attuale frammentazione del settore che, sommata al contenuto valore aggiunto del prodotto, non agevola i dovuti investimenti infrastrutturali. La via di uscita bioenergetica dal canto suo ha confermato, deludendo le speranze di molti, i suoi limiti temporali che nella finanziaria 2020 non sono stati spostati in avanti vista la salomonica proposta di accordi singoli da parte dei produttori con le municipalizzate.
Non possiamo qui non ricordare anche quanto ci ha lasciato Vaja. Infatti la tempesta, anche dopo più di un anno dalla sua furia, lascia ancora pesanti i segni del suo passaggio. Volendo riflettere in modo oggettivo si può osservare che, se da un lato ci ha portato un brutale esempio del concreto
mutamento climatico in atto, dall’altro ci ha chiarito come tali fenomeni, seppure generati dalle attività umane, non sono da esse né controllabili né risolvibili negli effetti. Moltissimi metri cubi di legname restano e resteranno, alla fine, coinvolti in un ciclo naturale che inevitabilmente modificherà l’aspetto dei nostri boschi.
Durante l’anno passato inoltre ci siamo avvicinati alla chiusura dei
cicli PSR e POR che, nelle loro luci ed ombre, considerate le inevitabili difficoltà affrontate ed il lavoro svolto da tutti i soggetti coinvolti nella messa a terra delle risorse, ci hanno comunque insegnato molto: si è capito come non si debba chiedere ad uno strumento di divenire una strategia inserendo al suo interno vincoli troppo stringenti. La strategia, sviluppata e condivisa con i suoi attori dal basso, deve trovare nello strumento finanziario utile spinta ad accelerare. Gli “aiuti comunitari” non possono basarsi su programmi che pochi mesi dopo la loro concezione possono sembrare obsoleti ma, vista la periodica congiuntura economica cui siamo sottoposti e la parallela dinamicità dei mercati, devono essere capaci di adattarsi velocemente a qualunque esigenza o accadimento. Viste le condizioni estremamenti mutevoli, appare molto limitante affidare ai soli strumenti di credito agevolato il ruolo di supporto all’innovazione produttiva. Inoltre, limitare il premio dei fondi strutturali a precisi sistemi di qualità o di certificazione, in un periodo di congiuntura avversa, può risultare utile sulla carta, ma non nella realtà quotidiana considerati gli inevitabili maggiori costi indotti che si riflettono poi nell'aumento di prezzo nella spesa dei consumatori.
Quanto accaduto nello scorso anno non può essere considerato un ostacolo allo sviluppo, quanto piuttosto può essere visto come utile insegnamento per un futuro per il quale c’è e ci deve essere ancora speranza.
Questo è testimoniato dal fatto che, nonostante i problemi per l’export principalmente connessi alla frenata tedesca, alla brexit ed ai dazi trumpiani, il settore agroalimentare chiude con le esportazioni in crescita al netto del settore delle carni stagionate. La regione FVG è la settima in Italia per propensione all’export.
La tenuta del settore è dimostrata dal fatto che nel 2019 sono state perse solo 17 imprese sul terriorio regionale. Nel quinquennio la variazione si attesta a -0,1%, dato che certifica la tenuta del comparto anche sul lungo periodo.
Per quanto riguarda invece il confronto con il resto del Nord-Est, secondo l’ultimo report di Intesa San Paolo, da un lato si evidenziano i problemi del settore delle carni stagionate, mentre dall’altro si sottolineano le ottime performances del settore dei vini, dei distillati e del caffè, dove le eccellenze regionali brillano nonostante il rallentamento del fenomeno Prosecco.
In conclusione, non ci resta che evidenziare le sostanziali possibilità che si presentano al comparto agroalimentare regionale qualora si dimostri in grado di imparare dal proprio passato ma, soprattutto, essere capace di stare al passo con il resto del mondo non scommettendo troppo sulla sua statica unicità, quanto piuttosto sulla sua innata capacità di non arrendersi e di costruire con speranza un futuro diverso da quello che i più danno per scontato.